Giuliano Pisapia: “Serve una svolta a sinistra”
6 Agosto 2012 - di marina_cavallo
MILANO – In molti gli tirano la giacca. Alcuni suoi colleghi sindaci lo vogliono in una lista nazionale dei primi cittadini per le prossime elezioni politiche. Altri nel Pd e in Sel gli chiedono una partecipazione diretta alla battaglia di primavera, portando la sua esperienza politica aperta e plurale del «modello Milano» che gli ha consentito di rompere il dominio ventennale della destra. Giuliano Pisapia, però, ha le idee chiare sul suo futuro e sul ruolo del centrosinistra per cambiare le prospettive del Paese. Lo spiega in questa intervista rilasciata all’Unità.
Sindaco Pisapia, si candiderà alle elezioni politiche? Sarà nell’eventuale lista dei sindaci?
«Il mio impegno è quello di fare il sindaco di Milano e di farlo bene. Nessuna candidatura, quindi. Dimostrare che si può governare bene la propria città è il modo migliore per valorizzare il centrosinistra per la guida del Paese. Se per vincere è necessario avere tre o quattro punte, se dobbiamo allargare il campo, io sono pronto a dare il mio apporto. Non certo a candidarmi, non posso farlo per serietà e rispetto dei cittadini che un anno fa mi hanno eletto e portato a Palazzo Marino».
Eppure tra alcuni suoi colleghi del centrosinistra cresce l’aspirazione a creare una lista nazionale. Cosa ne pensa?
«Io la penso così: il compito dei sindaci è portare a termine il mandato che hanno ricevuto, dunque governare le città. Non esistono gli uomini della provvidenza, nemmeno gli unti del Signore. I sindaci naturalmente aiuteranno a costruire un governo diverso. La loro esperienza quotidiana a contatto con i cittadini è preziosissima, così come gli esperimenti riusciti di allargamento della partecipazione a cittadini, movimenti, associazioni. E nel futuro governo partecipazione deve voler dire anche condivisione dei compiti: la cittadinanza attiva va valorizzata e sfruttata per il bene comune. Vanno aperte le porte a chiunque abbia competenze, professionalità, capacità e voglia di metterle a disposizione. Governare non è un compito da predestinati e nemmeno un lavoro a vita».
Pisapia, in questi giorni si sta discutendo molto di come i progressisti si devono presentare al voto e con quale obiettivo. Come valuta il confronto?
«Nel dibattito di questi giorni ci sono stati troppi equivoci, che come spesso accade qualcuno ha cavalcato strumentalmente. Bisogna uscirne. Dopo il disastro del governo Berlusconi e l’approccio ben diverso del governo Monti, che ci ha aiutato a non cadere nel baratro e che, data l’emergenza, ha avuto l’appoggio, talvolta anche senza consenso, di una maggioranza del tutto anomala e non ripetibile, è necessaria, per vincere le elezioni e poi per governare, un’ampia maggioranza di centrosinistra con un programma comune e che sappia coniugare innovazione e stabilità, tutela dei diritti sociali e civili, responsabilità».
Questa idea sembra condivisa oggi da Pd e Sel. Vede la possibilità che possa coinvolgere anche i centristi?
«Questo progetto non passa e non può passare con l’ingresso dell’Udc nella nostra coalizione. Il centrosinistra deve essere capace di rinnovarsi, di aprirsi alla cittadinanza, ai delusi e disillusi della politica. È necessario un cambiamento interno alla coalizione come svolta, con le elezioni, rispetto all’attuale governo. Un’alleanza capace di governare ma profondamente alternativa al centrodestra e che faccia scelte di politica economica e sociale diverse da quelle del governo Monti, che comunque dobbiamo ringraziare per averci restituito credibilità internazionale ed averci evitato un collasso definitivo».
Però anche Casini sta all’opposizione e potrebbe essere importante per una futura maggioranza…
«Basta leggere la carta di intenti del Pd e le proposte di Sel per comprendere che Casini non è parte di questa coalizione. La sua posizione su temi sensibili e fondanti – non solo su temi eticamente sensibili, ma anche su temi economici e sociali – è diversa. Anche Casini, però, fa una proposta alternativa a quella di Berlusconi. Bene, questo significa che il centrosinistra in Parlamento potrà confrontarsi con il centro e cercare convergenze. Così come potrà avvenire con altre forze presenti in Parlamento non di destra. È indispensabile però che ci sia un denominatore comune condiviso tra chi vuol far parte della coalizione progressista che si candida al governo».
E Monti? Piace pure ad alcuni nel Pd che lo vorrebbero dopo il voto.
«Il nostro compito è guardare al futuro, non al passato. Dobbiamo costruire il dopo-Monti. Il nuovo governo dovrà essere antagonista alla destra e di svolta rispetto a Monti. Sappiamo che la crisi sarà lunga, che i problemi saranno enormi nei prossimi anni e il centrosinistra deve assumersi la pesante responsabilità del governo con l’obiettivo di cambiare la prospettiva del Paese. Diritti civili e sociali, equità e giustizia devono essere le parole chiave».
Bersani e Vendola hanno iniziato a costruire un “fronte”. Cosa ne dice?
«Quello compiuto da Bersani e Vendola è un primo passo che propone un cambiamento nel modo di fare politica, che vuole condividere con un’ampia coalizione un programma, che vuole che il candidato premier sia scelto da tutti coloro che si ritrovano in quel programma. È importante che la proposta sia aperta ai cittadini che intendono impegnarsi in prima persona, a realtà associative, al volontariato, ad altri partiti che intendono sottoscrivere un patto per un futuro migliore. Questa può essere la chiave per rinnovare i partiti».
Quale percorso vede?
«Vedo, anche sulla spinta della nuova legge elettorale, un rinnovamento dei partiti, che vuol dire uscire dalle logiche del manuale Cencelli, dalla segregazione delle donne e dei giovani, dalla esclusione di chi non ha il pedigree della politica e aprire alle forze vive della società. E vedo i sindaci del rinnovamento impegnati alla costruzione di questo diverso patto per l’Italia aperto a tutti coloro, con o senza tessere in tasca, che vogliono contribuire a edificare un Paese più giusto. Il punto essenziale del progetto che sta nascendo è di edificare un’alleanza elettorale su un programma di governo basato su alcuni fondamentali punti irrinunciabili. E condiviso in partenza».
Ci si mette d’accordo sul programma e poi si sceglie il candidato premier con le primarie?
«Certo, le primarie con regole chiare e condivise da tutti. Chi si candida al governo al di fuori di questo percorso si autoesclude dalla coalizione. Spero che i candidati alle primarie vadano oltre il centrosinistra tradizionale. La società civile può dare una mano, a patto che i partiti non se ne dimentichino il giorno dopo il voto».
E se le primarie diventano una resa dei conti tra opzioni politiche diverse?
«Per evitare questo rischio sono indispensabili regole e paletti. I candidati devono condividere il programma di governo e si devono impegnare, in caso di sconfitta, a sostenere lealmente il vincitore. Non mi piace chi si candida da solo perché i risultati delle primarie non gli sono piaciuti».
È brutto dirlo, ma la coalizione come garantirà la governabilità del Paese?
«La coalizione che – mi auguro, e ne sono convinto – vincerà le elezioni dovrà essere autosufficiente. Avere cioè, anche grazie al premio di maggioranza, i voti necessari in Parlamento per governare sulla base del programma sottoscritto. Si discuterà, si medierà, ma non ci si potrà perdere in sfiancanti trattative come avvenuto in brutte esperienze passate: la governabilità va assicurata. Il programma, agile, ma non negoziabile a posteriori, dovrà essere accettato da tutti coloro che intendono partecipare alle primarie».
Ci possono essere liste civiche, diverse dai sindaci, accanto a Pd e Sel?
«Molto dipenderà dalla legge elettorale e dalla capacità dei partiti di riuscire a fare quella che è una scelta obbligata per battere l’antipolitica e il qualunquismo (anche quando si tinge di sinistra), cioè a rinnovarsi e ad accogliere il contributo di quanti hanno voglia di impegnarsi ma non fanno parte della nomenclatura. Se non sarà così, allora sarà necessario spingere il cambiamento dall’esterno con nuovi schemi di gioco».
Le piace l’idea di una lista unica Pd-Sel qualora ci fosse una legge elettorale con premio di maggioranza al primo partito?
«Non mi piace la lista unica e mi pare difficile da realizzare. Rischia di eliminare le differenze che, invece, sono preziose, sono la ricchezza della coalizione».
di Rinaldo Gianola
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